lunedì 13 settembre 2010

Celestino

Quando penso a Celestino mi viene in mente sempre la sua figura longilinea e curva su se stessa. Mi ricordo quando, boccheggiando tra un tiro e l’altro della sua perenne sigaretta, raccontava della sua gioventù, della guerra, dei bombardamenti e della fame. Mai un accenno alla paura. Mai una frase sulla voglia di abbandonare un mondo che gli era troppo stretto per poter continuare a vedere le cose con gli stessi occhi di sempre.

Nella sua testa mille pensieri vagheggiano tra le contorte e oramai deboli sinapsi, con la testardaggine di sempre nel voler ricordare anche ciò che non c’è mai stato.

Ed ora è qui, che mi tiene la mano nel suo letto di dolore mentre i suoi occhi cercano il bagliore di emozioni di un tempo, oramai passate. La sua speranza resta solamente quella di poter continuare a stringere con tutte le sue deboli forze questa mano, la mia.
Dalla fessura sotto la porte socchiusa accanto al suo letto traspira un lieve bagliore di una lampadina, è la camera della nuora che parla con suo marito.

“Speriamo non soffra” si sente in un lieve e nascosto bisbiglio.
“Si, speriamo, almeno questa soddisfazione…” risponde il figlio di Celestino, non sapendo che l’unica preoccupazione del padre ora è quella di trovare la forza di continuare a stringere con tutto se stesso la mia mano, come se volesse pregarmi di non lasciarlo, come se volesse urlare a gran voce che non vuole smettere pensare.

La sua mano stringe, pulsa, trasmette la voglia di vivere così come i suoi occhi.

Celestino è forte.

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