mercoledì 15 settembre 2010

Il canneto

Mi trovavo in spiaggia, nel nostro solo angolino di sabbia. Erano circa le 17,30: a quell'ora il sole inizia a calare e trasmuta tutto ciò che irradia, dà una nuova forma agli oggetti.
Una sensazione strana mi pervase, mi trasmise serenità e pace e sembrò che il tempo smise di scorrere: con lo sguardo seguì Celestino che ad un tratto si alzò. Stava andando verso quella miriade di canne di bambù che facevano da contorno a tutta la spiaggetta, ne sdradicò una e se la portò con se.

Venne, con passo lento, a sedersi accanto a me tirando fuori il suo inseparabile temperino dal taschino della sua camicia indossata sempre con i primi tre bottoni sbottonati e si mise a lavorare quella canna, il suo viso prese subito quell'espressione di attenzione tipica sua con le sopraciglia corrugate. Ben presto la tagliò e la trasformò in un fischietto.
Si mise a suonarlo facendosi sfuggire ogni tanto qualche sorriso dai bordi della bocca, mi sentivo felice in quel momento. Celestino voleva mantere un'espressione seria ma non ce la faceva, ricordo i suoi occhi contenti che assunsero un taglio che ricordava vagamente una mandorla.

Ormai il sole era scomparso dietro il palazzo che vegliava sul litorale e solo pochi raggi trasparivano ancora, Celestino si alzò come se volesse farmi capire che era ora di andare a casa ma io volevo godermi quello stato di pace e volevo essere cullato dall'aria, dal sole tiepido, dal rumore delle onde infrante sugli scogli.
Celestino capì al volo, lo lessi nel suo sguardo, come a comunicarmi che era meglio godersi quegl'istanti la cui memoria sarebbe sempre di più lenita dal tempo.
Si sedette con me e stammo in silenzio ad assaporare la vera gioia di vivere. Io e Celestino

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